mercoledì 25 novembre 2015

25 novembre: Giornata contro la violenza sulle donne


Un argomento su cui c'è ben poco da dire: la violenza sulle donne. Violenza: una parola che non dovrebbe mai esistere. Men meno contro quello che viene definito il sesso debole. Eppure non solo esiste, ma l'argomento è più attuale che mai. Una giornata del genere non dovrebbe essere contemplata: come non dovrebbe esserci una giornata dedicata solo alle donne come l'otto marzo. Ma le disparità tra uomo e donna sono ancora altissime così come le violenze sulle donne. Quindi una giornata dedicata a questo dovrebbe servire a far riflettere. Rimane un giorno su cui i soliti si indigneranno, su cui alcune donne soffriranno a causa delle violenze fisiche e psicologiche, su cui i violenti continueranno a essere violenti, a pentirsi (?) forse.
Su Scena Medica un interessante articolo della dottoressa Katia Tenore sul motivo per cui le donne non scappano dalla spirale della violenza.
Importante comunque è continuare a sperare: che le cose cambino, che qualcosa succeda, che i violenti vengano puniti.
Sperare non costa nulla.

martedì 24 novembre 2015

Racconto di bulllismo

Tempo fa ho scritto un racconto di cronaca sugli atti di bullismo che oggi vi voglio riproporre, perché ritengo non si debba smettere di parlarne. Per questa pubblicazione ho avuto l'onore di essere stata citata dalla professoressa di psicologia dell'università e-campus Giulia Cavalli



Mi chiamo M. e ho 15 anni: non so perché, non so cosa io abbia fatto, ma da due anni vengo perseguitato a scuola da un gruppetto di 6 ragazzi. Uno si trova nella mia stessa classe, ma gli altri sono tutti più grandi di me.
Ho cercato di reagire e mi hanno picchiato; allora ho pensato di non reagire, ed è stato  anche peggio, perché hanno cominciato a picchiarmi e ad offendermi, con insulti e scherzi per qualsiasi osa.
Non ricordo esattamente come sia cominciata: da pochissimo avevo cominciato il liceo, dove portavo da casa un panino per la ricreazione. Inutile dire che cominciarono a rovistare nella cartella per prendermi la mia merenda, ma non per mangiarla, solo per giocarci, solo per farmi dispetto, quasi come dei gatti con le loro prede. Ma loro non sono gatti: e giocare fino a disintegrare qualcosa non è nel loro istinto.
Dissi a mia madre che preferivo comprarmi direttamente la merenda a scuola: dolce come sempre, non se la prese, ma cominciò a darmi una paghetta per le mie piccole necessità. Nel momento in cui non trovarono più niente nella mia cartella, si infuriarono. Pretesero i miei soldi. Io non ne avevo moltissimi, mi servivano solo per una merendina a scuola per tutta la settimana: davo comunque loro tutto ciò che avevo, proprio per essere lasciato in pace. Ma quando non avevo soldi da dare iniziarono a picchiarmi innervositi.
Per i professori che sembravano non accorgersi di niente, sembrava quasi un innocente gioco fra ragazzi. Il fatto che venissero persone dalle altre classi per “divertirsi” con  me, non interessava loro assolutamente. Gli altri miei compagni di classe avrebbero voluto reagire, ma erano terrorizzati che quegli altri se la potessero prendere anche con loro. Così lasciavano fare, guardandomi con compatimento.
Io avevo paura e non osavo confidarmi con nessuno. Avevo paura di parlarne ai miei: perché tremavo al pensiero che, dopo, quelli avrebbero potuto vendicarsi.
Tornavo a casa pesto, spesso col sangue dal naso, ma inventavo sempre goffe e patetiche scuse (caduto dalle scale, sbattuto ad una porta) su come mi fossi fatto male. Scuse a cui, naturalmente, i miei non credevano.
Ero triste e solo: il mio carattere cominciò a cambiare e mi vennero strani tic nervosi, che ancora di più erano oggetto di scherno da parte di quei buli.
Un giorno in cui tornai a casa conciato peggio del solito, mia madre mi costrinse a denunciare tutti quei ragazzi, facendo nomi e cognomi.
Ovviamente ho cambiato città, scuola, mondo, amici… Ma almeno sto trovando un minimo di serenità.
Questo è un racconto inventato: ma tratto dalle tristi e verissime vicende di cronaca.

Roberta Jannetti

venerdì 13 novembre 2015

Siete superstiziosi? I ricercatori vi spiegano perché



Avete piccole o grandi superstizioni? Alcuni ricercatori statunitensi hanno individuato un meccanismo del nostro pensiero che ci impedisce di tenere a distanza i nostri gesti scaramantici.

Chi più chi meno, abbiamo tutti delle superstizioni. Piccoli gesti che, in caso di bisogno, ci aiutano ad affrontare alcune cose: che sia un esame, un provino, un colloquio di lavoro, un'interrogazione, una partita di calcio. All'Università La Sapienza di Roma, gli studenti sanno che non bisogna guardare negli occhi la statua della Minerva, altrimenti andrà male l'esame. Di sicuro è atteggiamento irrazionale e sciocco, eppure da generazioni viene tramandata questa superstizione. Sebbene siamo consapevoli che essere superstiziosi sia irrazionale, continuiamo con i nostri piccoli gradi di scaramanzia. E non dipende nemmeno dal livello culturale di una persona. Secondo alcuni ricercatori dell'Università di Chicago i nostri gesti di scaramanzia, i nostri portafortuna, sono riflessi condizionati del nostro cervello. Ci aiutano ad affrontare meglio la vita: ma è utile imparare a gestirle.

Attenzione allo zucchero


Lo zucchero fa male, lo zucchero fa ingrassare, lo zucchero va preso con parsimonia.

Una brutta notizia arriva dalla Food and Drug Administration americana: ogni adulto dovrebbe consumare al massimo 50 grammi di zucchero al giorno, i bambini sotto i tre anni, massimo 25 grammi. Vero che 50 grammi sembra una cifra di tutto rispetto: considerando che per fare una crostata per sei persone ci vogliono 100 grammi di zucchero. Il primo pensiero è che difficilmente si possa arrivare a consumare quella cifra. In realtà lo zucchero non è presente solamente nei dolci, ma anche in mille altri alimenti, ad esempio lo yogurt magro, o i condimenti per insalata. Quindi il consiglio è di controllare gli alimenti che mangiamo ove possano contenere zucchero e cercare di mantenere un giusto equilibrio quotidianamente, senza mai eccedere.

venerdì 6 novembre 2015

Sonno interrotto: la vera causa del malumore


Il sonno interrotto fa male alla salute, ma anche all'umore. Meglio dormire poche ore piuttosto che tante ore con interruzioni frequenti.

Una ricerca della Johns Hopkins Medicine, pubblicata su Sleep ha riscontrato che i problemi maggiori con l'umore lo hanno tutte quelle persone che devono frequentemente interrompere il loro sonno. Ad esempio i medici, o tutti coloro che devono per lavoro dare la propria reperibilità, i neo genitori, interrotti frequentemente nel sonno dai bambini, o quelli che soffrono di insonnia. Paradossalmente chi dorme poco risente meno dei problemi legati al buonumore. Lo studio è stato effettuato su 62 adulti sani e consenzienti mediante la  polisonnografia. Lo stato d'animo cambiava a seconda se i pazienti avevano dormito poco, tanto, o con il sonno interrotto.
Probabilmente era cosa risaputa: ma non sempre è facile evitare di avere il sonno interrotto.  Bisognerebbe cercare una migliore qualità del sonno per non essere troppo nervosi. Sul nostro quotidiano Scena Medica alcuni consigli per combattere l'insonnia.

giovedì 5 novembre 2015

Che cos'è Scena Medica


Scena Medica è un quotidiano telematico scientifico che si propone di divulgare gratuitamente temi di carattere medico, sanitario e culturale. E' una testata indipendente, registrata al Tribunale di Roma, sviluppata da un team di medici, esperti del settore sanitario e giornalisti, che redigono articoli, impaginano e reperiscono materiale fotografico in modo autonomo e senza compenso. Col nostro blog continueremo a seguire le ultime notizie e ad approfondire gli argomenti di maggior interesse pubblicati sul giornale.